Intervista a Gabriele Farina
di Alessandro Claudio Giordano
Il tema della sanità a Cuneo è molto sentito in queste ultime settimane. Alle critiche per un servizio sanitario locale che a detta dei più ,registra molti limiti nella continuità del servizio, si è aperto un dibattito che diremmo piuttosto serrato sull’opportunità o meno di costruire un nuovo nosocomio fuori dalla città. Di questi tempi poi si discute anche della possibilità di un partenariato pubblico e privato e dell’implementazione di reparti per consentire anche un miglioramento qualitativo della struttura. Ne ho parlato con Gabriele Farina, presidente della Consulta Giovanile cittadina.
Negli ultimi mesi in città ci si interroga sull’opportunità di costruire un nuovo ospedale. A tuo parere è una proposta praticabile o sarebbe più opportuno pensare ad un intervento di ammodernamento del Santa Croce o sul Carle?
Non penso di essere un esperto sul tema delle infrastrutture e delle costruzioni quindi, mi limiterò ad analizzare la decisione in un ambito sanitario e di servizio ai cittadini. Penso che la decisione di porre l’ospedale unico al di fuori della città sia, in un’ottica di futuro, un’ottima riflessione di prospettiva. Se vogliamo continuare ad avere un ospedale con alti livelli e capace di rapidità d’accesso e d’operatività dobbiamo anche noi renderci conto che le strutture ad ora presenti sul nostro territorio non sono più in grado di mantenere un livello prestazionale così alto.
Avendo uno spazio ben strutturato, accessibile e tecnicamente affidabile potrebbe veramente continuare a dare a Cuneo un servizio prestazionale altissimo con una struttura di alto livello.
Un tempo l’ospedale Santa Croce e Carle offriva una proposta sanitaria di eccellenza. Oggi è ancora così e che cosa può essere migliorabile?
Oggi, sempre di più, sentiamo il calare a picco del livello della nostra sanità, ovviamente i soldi e la politica fanno la loro parte nella discussione, ma poi i veri perdenti di questa situazione sono i cittadini. Il costante calare delle capacità tecniche e professionali delle nostre strutture non fa altro che deprimere un territorio che non troppo tempo fa poteva vantare uno dei servizi migliori della provincia se non che della regione. Da migliorare è sicuramente la sensibilità delle classi politiche ed istituzionali ad una sanità pubblica. Essa è frutto di scelte compiute nel passato che hanno (e rendono tutt’ora) il nostro Paese punto di riferimento per un’assistenza diffusa, capillare ed efficace a tutela e cura del benessere di ogni cittadino, senza guardare l’estrazione sociale o il patrimonio individuale. La sanità non è per i ricchi o per qualcuno, ma per tutti. La sanità pubblica rende l’Italia e Cuneo capaci di vivere in un orizzonte inclusivo, accogliente e ospitale.
Si è parlato del nuovo ospedale e di un partenariato pubblico-privato. Quanto può incidere positivamente l’intervento del privato nella proposta del nuovo ospedale?
Ammetto che, secondo me, il servizio sanitario deve essere pubblico, non perché penso che sia sbagliata la forma privata, ma lavorando, con i più fragili ed emarginati, non posso che anelare sempre e comunque ad una forma di benessere che sia data senza discriminazioni a tutti i cittadini. Detto ciò ovviamente la partecipazione dei privati a livello economico può agevolare la costruzione di una struttura in tempi migliori dati anche i risaputi ritardi delle opere pubbliche.
Un nuovo ospedale in zona Confreria prevederebbe un intervento importante anche sulla struttura del sistema viario. Questo aiuterebbe a crescere la città?
Sicuramente la creazione dell’ospedale in Confreria porterebbe a farsi dei pensieri sempre più concreti sul sistema viario, ma non solo, la stessa sanità dovrebbe fare dei passi avanti nella strutturazione di un sistema di sanità territoriale ben strutturato che non faccia sentire la mancanza dell’ospedale in città, se si lavorasse con forza per creare una rete sanitaria funzionante, che puntasse in primis alla cura a domicilio dove possibile o con trasporto in struttura dove necessario, si arriverebbe già ad una forza tecnica non indifferente.
Chi si oppone alla costruzione del nuovo ospedale parla di disagio per un’area, quella che attualmente occupa in centro città, che perderebbe pressappoco tremila persone impegnate direttamente al Santa Croce o nel suo indotto. Questo a tuo avviso potrebbe avere un impatto negativo?
Questa a mio parere è una visione troppo “ospedalocentrca” che porta la nostra società a pensare che una sua futura assenza non sia sostituibile con altre cose. L’ospedale non è l’unica fonte di produzione di quel territorio, anzi, si può pensare e sognare mille altre occasioni di crescita. Abbiamo le strutture e gli spazzi utili per dar vita ad una nuova forma di territorio. Personalmente il mio sogno sarebbe quello di avere in quello spazio un’area giovanile/universitaria, uno spazio di aggregazione, di movimento culturale e di conseguenza anche economico.
Cosa ti auspichi per il futuro della sanità cuneese?
Mi auspico di rivedere una Cuneo che torni ad essere prima eccellenza, sia per quanto riguarda le strutture ospedaliere, sia per qua